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Emergenza Covid-19 e Volontariato

di Anna Simeone dott.ssa in psicologia clinica e della riabilitazione

Non sempre un’emergenza deriva da un disastro naturale, può essere anche rappresentata da scenari “invisibili”, dove da padrona la fanno le necessità sanitarie pressanti e l’urgenza di rispondere con tempistiche immediate, mettendo a rischio anche la propria salute. L’intervenire in aiuto di altre persone in momenti cruciali delle loro vite può far sentire importanti, fondamentali, e il soccorritore può entrare in un circolo vizioso in cui più opera, più diventa efficace e si percepisce come tale, più vuole vivere queste sensazioni attraverso gli interventi che effettua, e può essere portato a non voler smettere mai. D’altro canto, l’operare negli scenari di emergenza comporta l’esposizione ad una grande pressione temporale, causata dalle tempistiche fortemente stringenti in tali interventi, il sovraccarico di responsabilità, l’impegno fisico e mentale elevato.
Tutto ciò dovrebbe portare i volontari a sviluppare disturbi tipici del trauma, eppure numerose ricerche hanno dimostrato, nel corso degli anni, che molte persone che si ritrovano a vivere esperienze traumatiche, soccorritori compresi, accrescono al contrario capacità di adattamento alla crisi mediante lo sviluppo della resilienza, che nasce da un evento negativo ma può trasformarsi in risorsa e in occasione di cambiamento e rafforzamento per mezzo della rielaborazione dello stesso. Le sue basi vengono costruite durante l’infanzia, ma è un processo che si sviluppa nell’intero arco della vita dell’individuo, in relazione all’ambiente e alle relazioni esperite. E’ infatti generata dalla modalità di interazione dei vari fattori che ne determinano lo sviluppo: gli eventi avversi e stressanti (condizioni biologiche e/o sociopsicologiche), la vulnerabilità dell’individuo, i suoi fattori protettivi interni intrapsichici (temperamento, capacità cognitive, autostima, ecc.) ed esterni (famiglia, sistema sociale, risorse comunitarie). Pensando a tutte le sciagure che il genere umano ha attraversato uscendone più o meno indenne, si deve ritenere che tale abilità, ossia la capacità di rialzarsi più forti dopo aver subito un trauma, è generalmente insita nell’uomo e ciò è probabilmente ancora più evidente nei soccorritori che ne fanno ampiamente ricorso durante la loro attività di assistenza, in particolare nel personale volontario che, diversamente, non riuscirebbe a proseguire nelle sue funzioni, tenuto soprattutto conto del fatto che per essi non è prevista alcuna remunerazione, se non la soddisfazione di aver prestato cura e soccorso al prossimo.
Alcuni interessanti studi hanno indagato le capacità di resilienza nei soccorritori e negli operatori impiegati nelle attività di aiuto. In particolare i dati raccolti con una ricerca condotta da Bertetti e Castelli nel 2014 sugli operatori delle relazioni di aiuto hanno consentito di confermare che essa si sviluppa proprio quando l’individuo non cerca di ignorare l’esperienza negativa, ma ne fa tesoro e fattori fondamentali sono ritenuti il riconoscimento delle sensazioni sia fisiche che emotive, le esperienze vissute all’interno della propria famiglia, che consentono il riconoscimento e la comprensione dei sentimenti altrui, le risorse sociali, particolarmente utili per comprendere che alcune situazioni non possono essere affrontate da soli, il ricorso ai valori, l’intelligenza emotiva, l’hardiness.
In generale, i diversi studi condotti sulle capacità di resilienza ed adattamento hanno messo in relazione questa capacità con alcuni meccanismi che sono ritenuti fondamentali per favorire il processo: la valutazione dell’evento come opportunità o minaccia (appraisal), l’attribuzione di significato, le emozioni positive ed il coping. Esso indica da un lato la capacità di fronteggiare e risolvere eventi problematici, reali o percepiti come tali, dall’altro di gestire le emozioni e lo stress derivante da essi, attraverso la messa in atto strategie cognitive e comportamentali. E’ un costrutto che differisce sia da quello relativo ai meccanismi di difesa, che sono involontari, che dalla resilienza, di cui è considerato un elemento, e che si riferisce alla capacità di fronteggiare gli eventi negativi sviluppando le competenze e riorganizzando in maniera positiva la propria vita.
Le strategie di coping che gli individui possono adottare sono molteplici e differenziate essenzialmente in tre gruppi: orientate sul problema, che comprendono azioni dirette o attività cognitive che inducono alla trasformazione del problema; orientate sulle emozioni, che consentono di gestire le emozioni negative generate dall’evento utilizzando meccanismi che impediscono lo scontro diretto con esso; di evitamento, in cui la persona prova ad ignorare le difficoltà, cercando il sostegno sociale o impegnandosi in altre attività allo scopo di distrarsi dal problema. La scelta delle strategie di coping da mettere in atto è particolarmente importante per gli operatori del soccorso poiché esse influiscono sulle loro reazioni e contribuiscono all’elaborazione delle emozioni connesse al vissuto di eventi tragici.
Proprio per comprendere quali fossero le risorse di fronteggiamento da loro messe in atto, sono stati effettuati molteplici studi sull’argomento nel corso del tempo. Essi hanno evidenziato che particolarmente importante è il supporto sociale dell’associazione e la forza del gruppo poiché favorisce il sentirsi legittimati negli interventi e rende gli accadimenti più identificabili. Altri fattori fondamentali sono il comportamento focalizzato sul compito, il distanziamento emotivo, le strategie cognitive auto-dirette, l’altruismo. Un altro studio ha rilevato tre stili principali di fronteggiamento: l’ottimista che si distrae, il razionale relazionale e quello centrato su di sé, legato alle emozioni e alla situazione. Particolarmente efficace per i soccorritori e i volontari in generale si dimostrano essere l’ottimismo e l’umorismo, così come la funzione protettiva della fede.
Possiamo a questo punto concludere con alcune riflessioni.
Il volontariato è una scelta di vita. Si basa su motivazioni profonde e radicate che attengono alla relazione col prossimo. Si nutre della ricompensa rappresentata dall’essere stati di aiuto per qualcuno. Condivide emozioni, esperienze, gioie e dolori di coloro ai quali si è tesa una mano. E se è vero che a volte ciò può comportare fatica e sofferenza dovuta all’accoglimento delle ferite dell’altro in sé, da un lato i benefici che esso apporta al volontario in termini di soddisfazione per ciò che ha fatto, e dall’altro la sempre crescente professionalizzazione che questo mondo sta vivendo al suo interno che consente l’acquisizione di strumenti e procedure di gestione degli interventi, costituiscono i due fondamenti che conducono il volontariato a sviluppare resilienza ed autoprotezione piuttosto che stress e burnout.